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Recupero acque reflue, che cosa prevedono i nuovi standard europei

8 maggio 2024

I cambiamenti climatici aumentano la variabilità del ciclo dell’acqua, inducono eventi meteorologici estremi che rendono l’acqua spesso più scarsa e inquinata, riducono la prevedibilità della sua disponibilità, minacciando lo sviluppo sostenibile e la biodiversità del Pianeta.

 

Per preservare la risorsa idrica è indispensabile ragionare sulle potenzialità e opportunità del riuso delle acque depurate. In quest’ottica si pone l’accordo politico raggiunto da Consiglio e Parlamento europeo su una proposta di revisione della direttiva riguardante il trattamento delle acque reflue urbane. Ecco cosa prevede.

acque reflue

Aggiornamento nel trattamento delle acque reflue

In una nota l’Europarlamento spiega che la nuova direttiva prevede che entro il 2035 le acque reflue urbane saranno sottoposte a trattamento secondario (cioè la rimozione di materia organica biodegradabile), prima di essere scaricate nell’ambiente, in tutti gli agglomerati delle dimensioni di 1.000 abitanti equivalenti (unità di misura standard che descrive l’inquinamento medio rilasciato da una persona al giorno) o più. 

 

Entro il 2039, il trattamento terziario (ossia l’eliminazione dell’azoto e del fosforo) sarà applicato in tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue che coprono 150.000 abitanti e oltre. Entro il 2045, anche in quelli che coprono 10.000 abitanti e oltre dovrà essere garantita l’applicazione di un trattamento aggiuntivo che elimina un ampio spettro di microinquinanti (“trattamento quaternario”). Sarà costante il monitoraggio di vari parametri di salute pubblica come virus noti e agenti patogeni emergenti, degli inquinanti chimici - comprese le cosiddette “sostanze chimiche eterne” (o PFAS) - e delle microplastiche.

È stata introdotta una deroga all'obbligo relativo al trattamento terziario nei casi in cui le acque reflue urbane trattate siano riutilizzate per l'irrigazione agricola, a condizione che non vi siano rischi ambientali e sanitari.

 

Inoltre, la legge parla di responsabilità estesa del produttore (extended producer responsability – EPR): i produttori di prodotti farmaceutici e cosmetici che provocano l'inquinamento delle acque reflue urbane con microinquinanti dovranno contribuire almeno all'80% dei costi del trattamento quaternario per rimuovere i micro-inquinanti dalle acque.

Reti fognarie per gestire le acque reflue

I legislatori hanno deciso che tutti gli insediamenti urbani con almeno 1.000 abitanti dovranno avere reti fognarie per trattare le acque reflue urbane. Hanno spostato la scadenza per farlo dal 2030 al 2035 per dare più tempo agli Stati di adeguarsi. Ci sono anche delle eccezioni per i piccoli insediamenti vicino al mare e per i nuovi membri dell'Unione Europea come Romania, Bulgaria e Croazia.

 

Se la realizzazione di una rete fognaria non è fattibile gli Stati possono usare sistemi individuali per raccogliere e trattare le acque reflue urbane.

 

Inoltre, gli Stati devono creare un piano integrato di gestione delle acque reflue urbane entro il 2033 per le città con oltre 100.000 abitanti ed entro il 2039 per quelle con un numero di abitanti compreso tra 10.000 e 100.000. Ogni sei anni, poi, questi piani saranno controllati e aggiornati.

Direttiva acque reflue, il percorso legislativo

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane è stata adottata nel 1991 con lo scopo di proteggere l'ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue da fonti urbane e di settori specifici. Con la direttiva attualmente in vigore, gli Stati membri sono tenuti a garantire che le acque reflue provenienti da tutti gli agglomerati con oltre 2.000 abitanti siano raccolte e trattate secondo le norme minime dell'Ue.

 

Nel 2019 la Commissione ha effettuato una valutazione della direttiva nella quale ha confermato che la relativa attuazione ha comportato una notevole riduzione delle emissioni inquinanti. Tuttavia, la valutazione ha evidenziato che esistono ancora fonti di inquinamento che non sono adeguatamente affrontate dalle norme in vigore: tra queste, l'inquinamento proveniente dagli agglomerati più piccoli, le tracimazioni causate da piogge violente e i microinquinanti che danneggiano l'ambiente.

Tutela della risorsa idrica, l’impegno di Iren

La tutela e valorizzazione dell’acqua, insieme al recupero e al riutilizzo delle acque reflue in agricoltura, è un obiettivo che il Gruppo Iren persegue nelle sue attività. Ne è un esempio l’impianto pilota di Mancasale, il primo impianto di riuso delle acque in Emilia Romagna. Questo impianto intercetta le acque di scarico del depuratore e le affina a scopo irriguo, a beneficio dell'ambiente e delle aziende agricole limitrofe. Come accade nel territorio emiliano, in quello ligure il depuratore di Rapallo è un’altra testimonianza virtuosa sul recupero dell’acqua: l’impianto raccoglie le acque reflue dei comuni di Rapallo e Zoagli ed è stato progettato per un funzionamento modulare e flessibile che permette di gestire fino a un massimo di 90.000 abitanti equivalenti e una portata di 1800 mc/ora.

 

Mancasale e Rapallo rappresentano solo due dei depuratori gestiti da Iren che si impegna ogni giorno per garantire una gestione integrata della risorsa idrica, limitare le perdite idriche e costruire una filiera dell’acqua efficiente e sostenibile per il futuro di ogni territorio. Una visione in linea con il piano d’investimenti al 2030, che prevede oltre 2,4 miliardi destinati al servizio idrico integrato per il potenziamento della resilienza della rete e lo sviluppo degli impianti di depurazione.

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