Acqua

M come Microplastiche, che cosa sono e quali sono i pericoli che causano

26 marzo 2024

Con una grandezza compresa tra i 330 micrometri (circa lo spessore di un capello) e i 5 millimetri, le microplastiche sono uno dei fattori d’inquinamento più dannosi al mondo. Rientrano nel grande bacino dell’inquinamento da plastica che distrugge gli ecosistemi e compromette la salute umana. Infatti, degli 8 milioni di tonnellate di plastica che finiscono in mare ogni anno, solo una minima parte è visibile.

 

Le altre sono particelle millimetriche: 63.320 per ogni chilometro quadrato di oceano, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). E il nostro mare, il Mediterraneo, è uno dei più inquinati al mondo. Se non si interviene subito nel limitare la produzione e dispersione di plastica, entro il 2050 nel mare ci sarà più plastica che pesce.

Quanto sono pericolose le microplastiche

Le microplastiche si dividono in due tipi:

 

  • Primarie: quelle rilasciate nell’ambiente già sotto forma di particelle minuscole, che costituiscono una percentuale variabile tra il 15 e il 31% del totale della plastica negli oceani.
  • Secondarie: quelle che si creano dalla degradazione nel tempo di prodotti plastici più grandi.

 

Potenzialmente, ogni rifiuto di plastica può diventare micro. Le piccole dimensioni sono il problema maggiore per l’ecosistema, in quanto queste particelle insalubri vengono ingerite dai pesci: secondo l’Ispra, circa il 35% degli animali marini pescati e consumati dall’uomo contengono microplastiche.

 

La conseguenza è che gli agenti chimici e tossici della plastica possono contaminare la salute dell’organismo umano e provocare malattie. Oltre che depositarsi nell’ambiente distruggendo gli habitat marini. Poiché l’origine delle microplastiche è legata allo smaltimento scorretto della plastica, intervenire sulla raccolta e il funzionamento del riciclo dei rifiuti è la soluzione più efficace.

polimeri corpo

Come riciclare la plastica, il virtuoso esempio dell’impianto I.BLU

La plastica non è tutta uguale, nemmeno quella che finisce negli oceani. Per questo motivo non basta raccoglierla in modo differenziato, ma servono impianti con tecnologie specializzate per riciclarla e riconvertirla.

 

Dal riciclo dei materiali plastici se ne ricavano di nuovi, che vanno a sostituire le plastiche vergini che si sarebbero dovute produrre altrimenti. Altri tipi di materiali di plastica, invece, possono essere trattati e trasformati in materie prime secondarie in modo da evitare l’estrazione di materie prime vergini e il ricorso a combustibili fossili. Le plastiche miste, ad esempio, sono generalmente escluse dai tradizionali circuiti di riciclo: un aspetto problematico che tecnologia e innovazione possono trasformare in opportunità.

È quello che accade nell’impianto I.Blu del Gruppo Iren a San Giorgio di Nogaro. Qui, attraverso innovativi processi di trattamento, le plastiche che non si possono riciclare vengono convertite nel polimero Bluair®: una materia prima seconda circolare brevettata che può essere utilizzata in sostituzione del carbone nel settore siderurgico. Bluair® funge da agente riducente nel processo siderurgico e ottimizzatore nel processo della produzione dell’acciaio. Può essere impiegato in sostituzione di carbone e suoi derivati, favorendo il processo di decarbonizzazione dell’industria siderurgica.

 

Inoltre il polimero consente l’abbattimento delle emissioni di CO2 di oltre il 30% con la conseguente riduzione degli ETS (certificati di emissione) e il miglioramento della qualità delle emissioni del processo siderurgico. Vantaggi multipli che, oltre a recuperare la plastica, creano nuove risorse.

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